Il caso riguardava un’importante azienda marchigiana di rivendita di tartufi, che aveva acquistato da un commerciante molisano
La vicenda era nata a seguito di avvisi di accertamento dell’AE di Pesaro, che qualificavano come soggettivamente inesistenti le operazioni di acquisto di grandi quantitativi di tartufo, da parte di una grossa azienda della zona, nel presupposto che le società molisane, emittenti delle fatture, fossero semplici interposti dei cavatori dilettanti, privi di partita IVA e considerati dall’Ufficio reali fornitori del prodotto, allo scopo di evitare l’indetraibilità dell’IVA in forza della disciplina di cui alla legge n. 311 del 2004, poi abrogata per infrazione ai principi comunitari.
La società marchigiana, affidatasi al patrocinio degli avvocati Francesco ed Antonio Mancini, ha ottenuto esiti alterni nei due gradi di merito, ossia sezioni diverse delle stesse Commissioni Tributarie di Pesaro e di Ancona, hanno giudicato ora in favore del Fisco ora della parte privata, per differenti annualità, sicchè l’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso in Cassazione per gli anni di propria soccombenza, e l’avv. Francesco Mancini per le annualità sfavorevoli alla contribuente.
Nelle more, lo stesso avv. Mancini era riuscito, in sede penale, prima ad ottenere il dissequestro dei beni della società in sede di riesame, fino al grado di Cassazione, e poi la piena assoluzione dell’amministratore della società, dinanzi al Tribunale di Urbino, in due distinti procedimenti.
Con sei sentenze, depositate il 5 giugno 2023, dietro parere conforme del Sostituto Procuratore Generale, dott. Aldo Ceniccola, la Suprema Corte di Cassazione (Presidente dott. Biagio Virgilio; Cons. estensore dott. Francesco Federici), ha respinto i tre ricorsi presentati dall’Agenzia delle Entrate, ed accolto i tre prodotti dall’avv. Francesco Mancini.
La Corte di Cassazione ha affermato che, valutando il quadro probatorio acquisito al giudizio, non vi era alcun elemento dal quale la società potesse trarre il sospetto dell’inesistenza soggettiva del proprio interlocutore, con ciò escludendo una ignoranza colposa della contribuente.
La Corte di legittimità ha ritenuto, anzi, che gli “autorevoli” rivenditori (della provincia di Isernia) di tartufi, che si interfacciavano con la società marchigiana, generavano affidabilità, per importanza e visibilità, anche nazionale.
Nell’accogliere, invece, i ricorsi presentati dall’avv. Mancini, la Suprema Corte ha statuito che le sentenze sfavorevoli della CTR delle Marche non hanno fatto corretta applicazione dei principi che regolano le prove presuntive e l’onere, incombente sull’Amministrazione Finanziaria, della dimostrazione della conoscibilità, da parte dell’acquirente, di un eventuale meccanismo frodatorio messo in atto dai cedenti.
I Supremi Giudici hanno ritenuto “pertinente la difesa della ricorrente sulla effettiva attività di commercianti di tartufi”dei rivenditori molisani, “riconosciuti anzi tra i più esperti del settore”, ed hanno convenuto che la società marchigiana aveva dimostrato che l’enorme quantitativo di tubero commercializzato rendeva impossibile affidarsi all’acquisto della merce direttamente dai cavatori del luogo occasionali.
Le sentenze depositate rappresentano un importante tassello per la valorizzazione di quei principi della giurisprudenza di legittimità ed euro-unitaria, che esigono che l’Erario dimostri, ancorchè con presunzioni gravi, precise e concordanti, che l’acquirente potesse o dovesse sapere, usando diligenza ordinaria, che il cedente avesse realizzato una frode fiscale, non essendo sufficiente, in tale contesto, che il fornitore avesse o meno omesso il pagamento dell’IVA dovuta.
Per gli avvocati Francesco ed Antonio Mancini una bella soddisfazione professionale, dopo un lungo itinerario, tributario e penale, che rischiava di fare scomparire una delle aziende nazionali più rinomate nel commercio del tartufo.
Fonte Quotidiano del Molise, Articolo del 06 giugno 2023
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