Con la sentenza n. 315, depositata il 28.8.2024, la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Campobasso (Pres. Dott. Vincenzo Di Giacomo- Relatore Dott. Ilario Moscetta – Giudice Geom. Carmine D’Imperio) è intervenuta su una questione di grande attualità, come l’imponibilità IRAP negli studi associati.
La Corte di primo grado ha accolto le ragioni sviluppate dalla difesa, rappresentata dall’avv. Francesco Mancini e dal Dott. Vittorio Del Cioppo, di uno studio legale associato molisano, che vantava il rimborso dell’IRAP pagata su compensi, fatturati dallo studio, ma relativi ad attività esercitate in via del tutto autonoma da uno dei suoi soci.
Avverso il silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso, i difensori presentavano ricorso, sostenendo che uno dei soci (privo di autonoma partita IVA) aveva conseguito compensi per prestazioni rese nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione di importanti Enti e Società, per le quali non aveva minimamente beneficiato dell’apporto organizzativo e professionale dello studio legale.
Dimostravano che il socio aveva svolto i prestigiosi incarichi presso le sedi dei Clienti e con i mezzi e l’organizzazione degli stessi, ossia senza il minimo contributo da parte della propria struttura.
Sull’abbrivio di alcuni precedenti di legittimità (Cass. n. 18920/2016; n. 27843/2018; Ordinanza n. 32272/2022; SS.UU. n. 30873/2019), i Giudici di Campobasso hanno ritenuto che, pur essendo consolidato l’assoggettamento ad IRAP per gli studi associati e per le società tra avvocati, in quanto, per tali forme giuridiche, il fattore organizzativo deve intendersi presente ex lege, non è preclusa la prova dell’insussistenza, nel caso specifico, del vincolo associativo, ovvero dell’esercizio in forma associata dell’attività.
Nella fattispecie esaminata, la CGT di primo grado di Campobasso ha verificato che lo Studio ricorrente ha fornito la prova della natura delle prestazioni personali del singolo associato, rispetto alle quali non risultava esercitata alcuna attività in forma associata, concludendo per l’esclusione da IRAP degli importi percepiti a tale titolo.
La difesa dello Studio Associato ha dimostrato che, per le delicate cariche ricoperte al vertice di Enti e Fondi nazionali, il singolo associato non soltanto si è avvalso della sola struttura degli autorevoli Committenti, ma non poteva giovarsi di alcun supporto da parte dello studio legale associato, il quale, operando in un ambito del diritto tradizionale e del tutto diverso, non aveva le competenze specifiche per fornire alcun contributo, e né poteva e doveva essere investito di profili per i quali l’amministratore di un Ente o di una Società è tenuto alla massima riservatezza.
La sentenza, che è stata commentata anche dalla stampa specialistica (Il Sole 24 Ore, del 16 dicembre 2024, a firma di Davide Settembre), offre una chiave di lettura molto interessante e suscettibile di costituire un prezioso precedente, al fine di tracciare una preziosa linea di confine tra l’organizzazione in re ipsa, attribuita dalla Suprema Corte alle strutture professionali associate o societarie, e la natura specifica di quelle prestazioni che, anche in seno a tali strutture, possono essere rese in maniera del tutto autonoma dal vincolo associativo, come è tipico delle funzioni di amministratore o di sindaco all’interno di soggetti terzi.